Quadrato semiotico delle prospettive per i giovani
Torna Squadrati, e si passa dalla notte al giorno. Per le nuove leve che finito il liceo o l’università hanno davanti non un bivio, ma un quadrivio. Quadrato semiotico delle prospettive per i giovani.
11 thoughts on “Quadrato semiotico delle prospettive per i giovani”
Dismettiamo i panni ironici per un momento: grazie per la domanda, marco, che permette di chiarire un punto importante. Non è la ricerca che è opposta al lavoro. Un ricercatore, infatti, sebbene pagato poco, finisce comunque nel quadrante del lavoro. E’ il dottorato. Purtroppo (in Italia soprattutto) fare un dottorato (specie in discipline umanistiche-sociali, ma non solo) vuol dire NON connettersi con quelle che sono le istanze del mondo del LAVORO (da qui il NON-LAVORO). Il mercato, infatti, tende a non assorbire le competenze dottorali: per un limite dell’accademia, spesso davvero troppo teorica, ma anche per un limite del mondo del lavoro, che non coglie le potenzialità di una preparazione da cui spesso si lascia spaventare. Se poi ci si aspetta che sia l’Accademia a concedere un posto di lavoro come ricercatore (per saltare sul polo della X) allora stiamo freschi, e questo anche a causa dei tagli indiscriminati alla cultura. Da qui, l’idea che in questo momento la scelta di un giovane laureato di proseguire con il dottorato è, per usare una perifrasi eufemistica, poco orientata a valori pratici. Ahinoi(!)
Oh! my God, this is indeed, what I do not like with the Italian’s kind of new hate: one side the young at heart with mistakes and freshness and on the other side the ironical Italian so called “dottore” who will give you a lesson (for free) on how the young at heart would have done better.
GUYS? from this message exchange, I can understand a lot from your country but where are you going?
Marco; please serve them with your experience! Try it in a cool way
Squadrati: Do not answer in Marco’s way, be yourself!
Both: being reactive is good, being constructive is best
At the end, you will agree to delete me from your list…
Let!s see
All the best
mi devasta come l’ipotesi dell’iniziativa imprenditoriale, portata avanti con tante idee/volontà e il minimo indispensabile di capitale (o anche qualcosa meno), non sia neppure contemplata.
ciao, complimenti per l’idea. Tuttavia anch’io ho riserve sul quadrante prospettive giovani. D’accordo con Fabio Cagnetti sull’attività imprenditoriale (è forse questo l’indice dello scarso valore che si attribuisce a riguardo in Italia?) e una domanda: perché il lavoro sarebbe sul piano dell’individuale e il dottorato su quello del collettivo? Io direi che è in molti casi (ma dipende anche dal tipo di dottorato, mi rendo conto) è esattamente il contrario e vi racconto la mia esperienza. Dopo la laurea ho rinunciato al dottorato in filosofia (d’accordo con l’analisi degli autori di cui sopra riguardo allo scollegamento dottorato-lavoro) perché lo sentivo avulso da ogni utilità sociale, ho preferito misurarmi con il mondo del lavoro e con il giornalismo che vivo con spirito di servizio per la collettività (essendo – appunto – un servizio di informazione) al pari di molti altri lavori. Il motivo che mi ha spinto a rinunciare a soddisfazioni intellettuali certamente maggiori è stata proprio la vocazione al collettivo.
In ogni caso, dettagli a parte: bravi!
camilla.
Ho letto la prima risposta che avete scritto, ma se introducete la variabile “reddito” allora non-x e non-y sono decisamente invertiti…qualcuno che fa un dottorato pagato c’è! Inoltre il volontariato si allinea bene sulla deissi negativa del “ci spero” visto che il volontariato è una delle forme di cooptazione nel fantamondo del lavoro italiano. Bello, bravi …
Lo spunto aveva ottime potenzialità, ma la realizzazione lascia a desiderare. Perché mai si etichetta la ricerca come opposta al “lavoro”?
Dismettiamo i panni ironici per un momento: grazie per la domanda, marco, che permette di chiarire un punto importante. Non è la ricerca che è opposta al lavoro. Un ricercatore, infatti, sebbene pagato poco, finisce comunque nel quadrante del lavoro. E’ il dottorato. Purtroppo (in Italia soprattutto) fare un dottorato (specie in discipline umanistiche-sociali, ma non solo) vuol dire NON connettersi con quelle che sono le istanze del mondo del LAVORO (da qui il NON-LAVORO). Il mercato, infatti, tende a non assorbire le competenze dottorali: per un limite dell’accademia, spesso davvero troppo teorica, ma anche per un limite del mondo del lavoro, che non coglie le potenzialità di una preparazione da cui spesso si lascia spaventare. Se poi ci si aspetta che sia l’Accademia a concedere un posto di lavoro come ricercatore (per saltare sul polo della X) allora stiamo freschi, e questo anche a causa dei tagli indiscriminati alla cultura. Da qui, l’idea che in questo momento la scelta di un giovane laureato di proseguire con il dottorato è, per usare una perifrasi eufemistica, poco orientata a valori pratici. Ahinoi(!)
Oh! my God, this is indeed, what I do not like with the Italian’s kind of new hate: one side the young at heart with mistakes and freshness and on the other side the ironical Italian so called “dottore” who will give you a lesson (for free) on how the young at heart would have done better.
GUYS? from this message exchange, I can understand a lot from your country but where are you going?
Marco; please serve them with your experience! Try it in a cool way
Squadrati: Do not answer in Marco’s way, be yourself!
Both: being reactive is good, being constructive is best
At the end, you will agree to delete me from your list…
Let!s see
All the best
Il quadrante più interessante e più probabile è sicuramente quello del cazzeggio.. però potremmo inserire molte più altre attività!!
Io riesco a ritrovarmi sia su Cazzeggio che su Ci Spero e questo mi preoccupa molto. Comunque ottima l’idea di fare questi grafici
mi devasta come l’ipotesi dell’iniziativa imprenditoriale, portata avanti con tante idee/volontà e il minimo indispensabile di capitale (o anche qualcosa meno), non sia neppure contemplata.
ciao, complimenti per l’idea. Tuttavia anch’io ho riserve sul quadrante prospettive giovani. D’accordo con Fabio Cagnetti sull’attività imprenditoriale (è forse questo l’indice dello scarso valore che si attribuisce a riguardo in Italia?) e una domanda: perché il lavoro sarebbe sul piano dell’individuale e il dottorato su quello del collettivo? Io direi che è in molti casi (ma dipende anche dal tipo di dottorato, mi rendo conto) è esattamente il contrario e vi racconto la mia esperienza. Dopo la laurea ho rinunciato al dottorato in filosofia (d’accordo con l’analisi degli autori di cui sopra riguardo allo scollegamento dottorato-lavoro) perché lo sentivo avulso da ogni utilità sociale, ho preferito misurarmi con il mondo del lavoro e con il giornalismo che vivo con spirito di servizio per la collettività (essendo – appunto – un servizio di informazione) al pari di molti altri lavori. Il motivo che mi ha spinto a rinunciare a soddisfazioni intellettuali certamente maggiori è stata proprio la vocazione al collettivo.
In ogni caso, dettagli a parte: bravi!
camilla.
Ho letto la prima risposta che avete scritto, ma se introducete la variabile “reddito” allora non-x e non-y sono decisamente invertiti…qualcuno che fa un dottorato pagato c’è! Inoltre il volontariato si allinea bene sulla deissi negativa del “ci spero” visto che il volontariato è una delle forme di cooptazione nel fantamondo del lavoro italiano. Bello, bravi …